| IL PUNTO I contributi firmati non rispecchiano necessariamente l'intero gruppo redazionale Limiti del riformismo a  fronte della crisi economica ed alle necessità reali delle masse lavoratrici.  di  Cristiano Valente               Prospettare  buoni “consigli” alla borghesia cosiddetta  produttiva, riconoscendole un ruolo di progresso sociale oltre che un legittimo  interesse al profitto individuale, in contrapposizione ad una borghesia  esclusivamente speculativa e affaristica, è sempre stata la caratteristica storica  dei cosiddetti riformisti, dei progressisti, ed oggi in Italia di coloro che si  auto denominano democratici.La  classe lavoratrice, i suoi bisogni, il destino delle nuove generazioni, l’affrancamento  dallo sfruttamento capitalistico, uno sviluppo armonico del vivere comune, sono  costantemente piegati e tragicamente scambiati con gli interessi del paese, della  nazione, degli Stati nazionali, in un’astratta ed inesistente visione d’interessi  comuni contro le crisi economiche ricorrenti.
 Il  9 maggio scorso Epifani, il segretario del più grande sindacato italiano, la CGIL, in maniera solenne,  dalla tribuna del Congresso nazionale, a proposito della situazione di crisi  economica e sociale oramai deflagrata a livello mondiale afferma:
 “bisogna trarne le conseguenze e la  comunità europea dovrebbe quantomeno prevedere un fondo monetario, un’agenzia  di rating, dei bond europei per investimenti continentali, per governare  l’integrazione. L’alternativa seguita finora è stata invece lasciarla a se  stessa oppure rinchiudersi negli stati nazione”.
 Solo  due giorni dopo: maxi  piano dell'Unione Europea per salvare l'euro.
 Un pacchetto di misure per garantire la stabilità finanziaria in  Europa viene varato dall'Ecofin al termine di una lunga maratona di 10 ore  terminata a tarda notte mettendo in moto un meccanismo di assistenza  finanziaria per aiutare i paesi della zona euro in difficoltà a pagare il  debito pubblico e attaccati sui mercati dagli speculatori.
 Questo maxi-piano prevede prestiti bilaterali dagli Stati  dell'eurozona per 440 miliardi, 60 di fondi del bilancio Ue e fino a 250  miliardi di contributi del Fmi (pari ad  un terzo del totale).
 È inoltre previsto l'intervento della Banca centrale europea,  che potrà agire sul mercato secondario dei titoli di stato acquistando  obbligazioni pubbliche, quindi finanziare gli stati in difficoltà economica che  emettono obbligazioni per pagare i debiti pregressi.
 Come ha spiegato poi il presidente di turno Elena Salgado,  l'Ecofin sostiene inoltre l'impegno di Spagna e Portogallo, i due paesi più a  rischio dopo la Grecia,  a prendere «significative misure  aggiuntive di consolidamento dei bilanci»
 Si tratta dunque della maggiore  operazione finanziaria della storia dell’unione monetaria europea,
 L'obiettivo è «difendere l'euro costi quello che costi», ha spiegato il  commissario europeo agli affari economici e monetari, Olli Rehn, aggiungendo  che il meccanismo segue lo schema di quello accordato recentemente con il Fmi  per salvare la Grecia.
 L'obiettivo è dissuadere gli speculatori, che da settimane  puntano sul fallimento di un membro della zona euro.
 Il pacchetto va inoltre ad aggiungersi ai 110 miliardi di euro  già decisi per il salvataggio della Grecia, che i paesi europei e il Fmi  cominceranno a sborsare immediatamente.
 L'intesa è stata preceduta da una  frenetica attività diplomatica. Il presidente Usa, Barack Obama ha chiamato il cancelliere  tedesco, Angela Merkel, e il suo  omologo francese, Nicolas Sarkozy.
 Obama ha insistito con entrambi sulla necessità che gli europei  adottino «risposte forti» per  restituire fiducia ai mercati.
 Proprio mentre era in corso la riunione, da Washington il Fondo  Monetario ha varato un pacchetto di aiuti per la Grecia da 26,4 miliardi di  dollari, pari a 30 miliardi di euro.
 E dalla riunione straordinaria dei banchieri della Bce è uscita  la decisione di prendere misure speciali in appoggio del sistema bancario  indebolito (in particolare, la Bce ha deciso di intervenire  nei mercati del debito pubblico e privato per assicurare la liquidità nei  segmenti che non funzionano adeguatamente).
 Le indicazioni dei vari ministri dell’economia, relative alle  diverse misure nazionali da intraprendere (“le risposte forti” ), significano nella  concretezza riduzione ulteriore dei salari e delle condizioni sociali delle  classi lavoratrici, riduzione dei servizi, maggiore disoccupazione, miseria  crescente,Misure già indicate e definite dal governo socialista Greco, in  fase di applicazione in Portogallo e Spagna ed oggi definite dal Governo  Italiano il quale si appresta a varare una finanziaria da oltre 25 miliardi di  Euro.
 Non è certo merito (sarebbe  meglio dire demerito) di Epifani né della sua esternazione al Congresso se  tutto ciò è successo.
 Il problema è che non poteva succedere altrimenti.
 Il capitalismo ed i governi nazionali a sostegno delle loro  classi dirigenti usano tutto ed il contrario di tutto pur di perpetuare questo sistema  economico e politico.
 Si usa e si è usato in maniera disinvolta la leva dello Stato e  della presunta programmazione economica così come viceversa si privatizza tutto  per poi rinazionalizzare fin’anche le banche com’è successo in questi due  ultimi anni se occorre sostenere i profitti e con essi il sistema generale.
 All’interno del sistema economico e  sociale capitalistico non c’è alternativa alcuna e le ricette inevitabili di  fronte alle sue crisi ricorrenti sono lacrime e sangue per i lavoratori e le  nuove generazioni.
 Se è vero che la disoccupazione in Italia è oramai sulla soglia  del 10%, solo un po’ più bassa statisticamente della media europea per  l’esistenza della Cassa Integrazione; se è vero che la questione salariale, cioè  la perdita di potere d’acquisto delle classi lavoratrici è in agenda, come  minimo, dal 2000, che la famosa “quarta  settimana”, cioè la difficoltà delle masse lavoratrici ad arrivare senza  debiti alla quarta settimana del mese, fu l’elemento con cui il governo Prodi  vinse le elezioni nel 2006 e fu proprio la non risoluzione di tale problema la  causa della sua non riconferma nelle elezioni del 2008; se è vero che per la  corruzione dilagante relativa solo agli appalti pubblici (la cricca di Anemone e soci,  solo per citare gli ultimi avvenimenti scoperti) i costi aggiuntivi per  l’erario, cioè sulle nostre spalle è stimabile in 80 miliardi di euro; se è  vero che si stima un’evasione fiscale annuale di oltre 100 miliardi di euro, ma  di quale interesse nazionale stiamo parlando?
 Le  spese complessive per l’istruzione di stato, regioni ed enti locali ammontano a  71 miliardi.
 Per  pagare gli interessi passivi del debito ci servono ogni anno più di 70 miliardi  di euro.
 Basterebbe  ridurre del 50% l’evasione fiscale ed in un anno e mezzo azzereremmo gli oneri  per il debito e potremmo finanziare con il doppio dei soldi per esempio la  scuola, tutto il sistema dell’istruzione dalla primaria fino alla formazione  universitaria.
 Se  solo poi si riducessero del 30% le spese militari, che ammontano ad oltre 24  miliardi annui, si recupererebbero oltre 8 miliardi.
 Garantire 50 euro ogni mese in più a tutti i lavoratori  dipendenti, proposta che potrebbe sembrare assurda e che in ogni caso sarebbe  solo la restituzione di una minima parte del maltolto di questi ultimi 15 anni,  costerebbe circa 10 milardi di euro.
 Sono  queste le proporzioni.
 Non  è quindi un problema di soldi che non ci sono. Il problema è che questo sistema  va perpetuato a tutti i costi, e quale blocco sociale deve sopportare i costi.
 In questi ultimi 15 anni (dati  Banca Italia 2010) i salari sono cresciuti del 4% mentre il reddito di  imprenditori, liberi professionisti commercianti ed artigiani è aumentato del  30%.
 Non  ha alcuna importanza per le classi dirigenti ed i vari governi nazionali che  per perpetuare l’attuale sistema ulteriori masse di lavoratori e cittadini sprofondino  nell’indigenza e nella miseria crescente, che si consumi materie prime, si avveleni  la terra ed i mari, si sconvolga il clima e con esso si determini ulteriori  calamità e ulteriori danni economici e sociali.
 In  maniera folle, per qualsiasi persona dotata di ragionevolezza, a fronte di un  mercato in sovrapproduzione di merci invendute e non certo perché i bisogni sono  completamente soddisfatti, ma perché c’è insolvenza di denaro, si garantiscono altri  finanziamenti ed incentivi proprio a chi ha determinato tale situazione.
 Le  famiglie americane, per esempio, che si sono indebitate e successivamente rovinate  per comprarsi le case con i famosi “subprime” sono oggi nelle tendopoli ai margini delle città, mentre le banche d’affari che  avevano acceso e favorito quei mutui per poi impacchettarli e rivenderli in una  vera e propria catena di sant’antonio finanziaria, quando quei poveri cristi  non ce la hanno più fatta ad onorare il debito e tutta la catena è crollata, sono  state salvate dagli Stati e quindi dai contribuenti. In  questo scenario di vera e propria apocalisse per le classi meno abbienti e per le  future generazioni un’altra delle ricette costantemente ripetute come un mantra  a partire dal Ministro Brunetta passando dallo stesso Epifani, fino a qualche “guru” ancora rimasto del postfordismo o  della decrescita, è quella di aumentare la produttività e la competitività  delle nostre merci e della nostra economia, puntando vieppiù a prodotti e merci  alternative d’alto valore aggiunto od a quelli della cosiddetta ”green economy”, economia verde.
 Ma  aumentare la cosiddetta produttività al fine di essere competitivi significa molto  più semplicemente lavorare di più, lavorare in meno e soprattutto produrre più  merci.
 Ma  le merci che in questo modo continuano ad essere prodotte, che siano prosciutti  di Parma, macchine od autoveicoli, compreso pannelli solari o pale eoliche, non  in base a bisogni reali da soddisfare, ma solo ed unicamente per essere vendute  come valori di scambio e garantire così nuovi profitti, ma chi li compra ?
 Con  l’aumento della produttività il ciclo in cui materia ed energia nel processo  produttivo sono in continua trasformazione per valorizzare capitale e non per  soddisfare bisogni umani, viene oltremodo amplificato, senza minimamente  incidere sulle cause della crisi economica che è crisi di sovrapproduzione di  merci.
 Il  divario fra produzione e consumo anziché diminuire cresce.
 Né  ha senso pretendere di ridurre il superconsumo di certe popolazioni per ovviare  al sottoconsumo di altre: per consumare bisogna disporre di valore, proprio o  derivante dall'altrui lavoro, cioè avere un reddito.
 Non  è possibile, nel capitalismo, aumentare il benessere di un polo senza diminuire  quello di un altro.
 E’  il Capitale il vero limite del capitalismo.
 E  non c’è organismo internazionale che tenga, Unione Europea od ONU, che possa  rappresentare un super Stato in cui bisogni e soddisfacimento delle necessità  di vita dei lavoratori possa essere il punto di riferimento delle politiche  economiche.
 Le  borghesie nazionali, solidali quando si tratta di colpire i lavoratori, si  contendono con ogni mezzo i mercati.
 La  stessa manovra di sostegno(si fa per  dire) alla Grecia,  è avvenuta non  certo per spirito solidale con la popolazione greca, ma solo ed unicamente per  salvaguardare la moneta unica ed il prezzo per i lavoratori, in termini di  ancora minor potere di acquisto e diritti sociali, sarà drastico.
 La  conferma della schizofrenia di tale sistema, così come dell’ipocrisia dei vari  rappresentanti governativi, è esplicitata dal fato che in un caso lamentano  scarsa o poco coordinamento europeo, dall’altro sono poi a favore di politiche  di federalismo fiscale, quindi per un localismo fiscale, cioè la massima  differenziazione territoriale allargata alle stesse condizioni di lavoro.
 Non  a caso il governo italiano, nella figura del Ministro Sacconi e della stessa  Lega Nord, alleata fedele nella compagine governativa al PdL, è fortemente contrario  a mantenere contratti nazionali dei lavoratori e per l’introduzione delle gabbie  salariali.
 La  concretizzazione di tale indicazione è per l’appunto introdotta nella bozza del  decreto legge relativo alla manovra di 25 miliardi.
 Si  ipotizzano zone del Sud del paese in cui sarà possibile avere vantaggi fiscali  per nuovi insediamenti produttivi, le cosiddette “ zone zero Irap” e la previsione di “contratti di competitività” legando quote di salario al totale  andamento ed esigenze delle imprese, in una babele ulteriore di condizioni  normative e salariali.
 E’  evidente che le disparità così determinate sono tutte il contrario di un coordinamento  di condizioni che a livello europeo si vorrebbe determinare ed alla cui  mancanza si addossano responsabilità di crisi
 L’unico  vero coordinamento sta nell’individuazione di chi deve pagare la crisi.
 Non  ci si può quindi stupire se sempre in maniera schizofrenica e contraddittoria  alle dichiarazioni ufficiali in tutti i territori aumenta e prevale invece  l’aspetto identitario nazionalistico, etnico o religioso che sia in un  tentativo di autosufficienza e di salvaguardia della nazione, del territorio,  del clan, persino della razza.
 E’  questo un fenomeno che in Italia è visibile nei successi della Lega al Nord e  nella futura nascita del partito del Sud, così come in Belgio nell’attuale spaccatura  fra fiamminghi e valloni che si riverbera negli stessi equilibri governativi, così  come in Spagna storicamente sensibile a spinte autonomiste.
 E’  un fenomeno che si presenta in una qualche maniera anche negli USA, dove più  governi statali hanno approvato leggi e risoluzioni che richiamandosi al decimo  emendamento affermano il loro diritto a governarsi come stati liberi, sovrani e  indipendenti a fronte degli interventi economici previsti a livello federale.
 Di  estrema attualità ritorna l’indicazione che il rivoluzionario Franz Mehring  indicò nella sua “Vita di Marx”.
 “ Il modo di produzione  capitalistico, che è in se stesso contraddittorio, genera gli Stati moderni e  insieme li distrugge. Accentua al  massimo i contrasti nazionali, ma trasforma anche tutte le nazioni secondo la  propria immagine. Sul suo terreno questo contrasto è insolubile e per causa sua  sempre ha fatto fallimento la fratellanza dei popoli tanto proclamata e  decantata dalla rivoluzione borghese.
 Mentre predicava libertà e pace fra  le nazioni, la grande industria faceva di questo mondo un campo di battaglia  quale nessun periodo precedente della storia aveva mai visto”
 D'altra  parte un accordo extraeuropeo, persino a livello mondiale si scontrerebbe, come,  di fatto, si scontra, con il differente sviluppo dei diversi paesi nazionali, com’è  successo per l’accordo sull’emissione di gas nocivi.
 Predicare  il rispetto ecologico a chi s’inoltra solo adesso sulla strada dei consumi capitalistici,  è privo di senso; ogni volta che ciò avviene gli interessati rispondono per le  rime, come per esempio hanno fatto a gran voce Cina, India e Brasile rispetto  all’emissioni nocive legate alla produzione industriale.
 Ciò  che è necessario quindi è rilanciare il conflitto di classe, non sopirlo,  alzare gli obiettivi e non praticare un finto realismo legato alla  ragionieristica nazionale.
 I  soldi ci sono, il problema è quali interessi si vogliono tutelare.
 Che  blocco sociale vogliamo privilegiare.
 Solo  con rapporti di forza favorevoli ai lavoratori una politica realmente  riformista è possibile.
 Non  si tratta di fare rivoluzioni o improbabili assalti al Palazzo d’Inverno, né  tanto meno ai Bancomat, si tratta di difendere e possibilmente allargare le  condizioni economiche ed i diritti a masse sempre più numerose.
 Solo  così si potrà determinare una consapevolezza ed una comprensione che per  allargare al massimo questi risultati si dovrà inevitabilmente superare  l’attuale sistema economico e politico.
 Quando  ciò non avviene, come purtroppo non sta avvenendo oggi in Italia e non solo, la  sconfitta sarà pesante
 La  classe ripiegherà su se stessa e non sarà poi così tanto strano che stretta in  questa morsa di peggiori condizioni lavorative, salariali e normative accetti  la lusinga di partiti od organizzazioni che indicheranno nello straniero extra  o comunitario che sia il nemico.
 Morte  tua vita mia sarà l’alternativa praticata che in definitiva è solo una delle  declinazioni del motto leghista del "ognuno è padrone a casa sua", ma  che sempre più è tragicamente introiettato anche dal cosiddetto popolo di  sinistra.
 Occorrerà  una o più generazioni per rimontare la china affinché la prospettiva comunista,  quella della messa in comune dei beni e del soddisfacimento comune possa  ridiventare l’orizzonte su cui indirizzare la prua del progresso sociale.
 
 26/05/2010       
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